Le paraplegie spastiche ereditarie sono patologie neurodegenerative caratterizzate da una progressiva spasticità degli arti inferiori, causata della degenerazione dei neuroni corticospinali. Le forme più frequenti sono causate da mutazioni della spastina, una proteina coinvolta anche nella divisione cellulare e nel trasporto intracellulare, della quale è cruciale che le cellule posseggano una quantità adeguata. Un nuovo studio realizzato da un team internazionale e coordinato dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), pubblicato sulla rivista Life Science Alliance, ha individuato nell’innalzamento della proteina spastina un nuovo, promettente approccio terapeutico per la paraplegia spastica ereditaria, malattia per la quale attualmente non esistono cure.
“Alla luce di alcune recenti ricerche, che hanno mostrato come il ripristino del giusto dosaggio di spastina sia di beneficio per i pazienti affetti da paraplegie spastiche, sono stati studiati in dettaglio i meccanismi che regolano i livelli di questa proteina nelle cellule”, spiega Cinzia Rinaldo del Cnr-Ibpm, coordinatrice dello studio. “Abbiamo scoperto che la proteina HIPK2 è in grado di regolare i livelli della spastina, consentendo così di recuperane il corretto dosaggio, prevenendone, con l’uso di un apposito farmaco, la degradazione”.
“La ricerca ha individuato lo strumento utile ad aumentare il dosaggio della proteina che causa la degenerazione dei neuroni, sperimentandolo in modelli ex vivo che simulano le caratteristiche e l’andamento della patologia”, prosegue la prima firma del lavoro Francesca Sardina, titolare di un assegno di ricerca attualmente finanziato da AFM Telethon (Francia).“Questo risultato invita a proseguire gli studi in direzione della sperimentazione pre-clinica e clinica, poiché quanto scoperto apre possibili applicazioni nelle altre patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, dove l’aumento del livello di spastina può essere benefico, e nella rigenerazione delle lesioni nervose”.
La ricerca è stata realizzata grazie al finanziamento della Fondazione Telethon italiana e dell’AFM Telethon, che hanno ritenuto di investire su questa ricerca di base riconoscendone le potenzialità e i promettenti risvolti terapeutici.