L’ENEA, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, sta sviluppando insieme a IGEA, azienda modenese impegnata nel campo della biofisica clinica una nuova terapia genica sicura e a basso costo per curare una malattia genetica molto rara come la Glicogenosi di tipo 3 (GSDIII).
Il progetto, denominato ‘STEG 3’, è incentrato sullo sviluppo di una strategia molecolare brevettata dall’Agenzia insieme all’Associazione Italiana Glicogenosi (AIG) e, per la sua valenza, è stato inserito nella graduatoria delle iniziative finanziate attraverso lo speciale Fondo interno di “Proof of Concept” creato da ENEA con l’obiettivo di avvicinare al mercato tecnologie innovative in partnership con imprese interessate. I
Il progetto mira a realizzare un composto con DNA sintetico, in grado di ‘sostituire’ la proteina mancante nelle persone colpite dalla Glicogenosi di tipo 3; fra i vantaggi di questa invenzione, il poter inserire nei tessuti ‘bersaglio’ geni anche molto grandi, con trattamenti che possano essere ripetibili. Fra i possibili vantaggi di questa terapia anche quello di indurre una minore reazione immunitaria e di essere applicabile ad altre malattie genetiche, rare e non, che determinano la compromissione dei muscoli scheletrici.
La GSDIII è una malattia che si manifesta a pochi mesi dalla nascita o durante l’infanzia e ha come conseguenza l’ingrossamento del fegato, l’ipoglicemia e un ritardo della crescita fino ad un indebolimento dei muscoli che negli adulti arriva ad una forma di distrofia muscolare. Ad oggi, non è disponibile alcuna terapia specifica ed il controllo della malattia si basa essenzialmente su indicazioni dietetiche.
«Il metodo che abbiamo brevettato è in grado di produrre elevati livelli della proteina GDE (Glycogen debranching enzyme) mancante e si basa sull’inserimento nelle cellule di un gene sintetico, attraverso un approccio di terapia genica che, a differenza di quelli maggiormente in uso, non prevede l’impiego di agenti virali e per questo ha maggiore capacità di veicolare sequenze lunghe di DNA» spiega Rosella Franconi, ricercatrice del Laboratorio Tecnologie Biomediche dell’ENEA. «Con questo metodo si può pensare di intervenire localmente dove il disturbo si presenta, in particolare nel trattamento dei tessuti e degli organi più colpiti come il muscolo scheletrico, riattivandone le loro funzionalità».