FENILCHETONURIA

Fenilchetonuria: come il covid ha cambiato l’approccio alla malattia

Ricorre il 28 giugno il PKU Day, la Giornata Mondiale di sensibilizzazione e informazione sulla PKU. Ma di Fenilchetonuria (PKU), una malattia metabolica rara, che nel mondo interessa più di 50.000 persone e che nella sola Italia si stima colpisca 1 bambino ogni 2.581 nati, si parla ancora troppo poco. Si tratta di una patologia, che si presenta fin dalla nascita e che è caratterizzata dalla mutazione di un gene, la fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per il metabolismo della fenilalanina (Phe), un aminoacido essenziale presente in quasi tutti gli alimenti proteici. Questo comporta il seguire una dietoterapia a vita.

La cura principale della PKU è la dietoterapia, che si dovrà seguire a vita: in cosa consiste? «Nell’esclusione o nella limitazione degli alimenti contenenti l’aminoacido fenilalanina, che si trova nella maggior parte dei cibi ricchi di proteine come carne, pesce, uova, salumi, ma anche pasta e pane comuni. Inoltre, si aggiungono alimenti dietetici speciali a ridotto apporto di proteine e formule con aminoacidi, vitamine e minerali prive di fenilalanina, per poter soddisfare i fabbisogni nutrizionali di chi è affetto da Fenilchetonuria», spiega Alice Dianin, dietista presso l’AOU di Verona, centro regionale per lo screening neonatale, la diagnosi e il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie e le malattie endocrinologiche congenite. «L’obiettivo principale della dieta è il mantenimento di valori ematici adeguati, per evitare le complicanze soprattutto neurologiche della malattia e per assicurare crescita e sviluppo motorio e cognitivo normali. Ecco perché va seguita per tutta la vita, sapendo che la dieta è sempre personalizzata, e accuratamente studiata e calcolata secondo i fabbisogni e la gravità della patologia».

Soprattutto durante il periodo dell’infanzia, però, seguire la dietoterapia può essere anche un fattore che fa sentire il bambino escluso o diverso a scuola, durante l’ora della merenda o durante le feste di compleanno per esempio. «È fondamentale che i genitori acquisiscano sin da subito gli strumenti per comunicare al meglio con il loro bambino anche questi aspetti. Spiegando, attraverso l’uso di metafore, esempi o immagini che ai più piccoli sono più familiari, il perché delle visite, della dieta, della differenza dei cibi rispetto agli altri, coinvolgendoli nella gestione della malattia cucinando insieme fin dall’inizio, mostrandogli quali sono le farine adatte a loro o come si usano i preparati di miscele aminoacidiche. Questo aiuterà il bambino nel suo processo di autonomia e di autoefficacia. E non solo: lo metterà nelle migliori condizioni di condividere con gli amici o con i compagni il perché della differenza della sua dieta. La differenza, allora, non sarà vista più come un limite, ma sarà una caratteristica», aggiunge Chiara Cazzorla, psicologa e psicoterapeuta presso la U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie, dell’A.O. di Padova.

E se una donna con PKU desidera una gravidanza? «Prima di tutto, va programmata con il centro che la segue», suggerisce Giacomo Biasucci, Direttore dell’U.O. di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza, Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Metaboliche Ereditarie. «Già da prima del concepimento, l’attenzione alla dietoterapia dovrà essere ancora più alta, affinché i valori di fenilalanina siano compresi tra 120 e 360 micromoli per litro di sangue. Valori più alti, anche durante la gestazione, potrebbero creare un danno teratogeno: il meccanismo di biomagnificazione a livello placentare della fenilalanina darà valori ematici di fenilalanina al feto fino al doppio rispetto alla madre, esponendolo a rischi di malformazione cardiaca, micrognazia, ma soprattutto alla microcefalia, ossia uno sviluppo ridotto del cervello che compromette la struttura e le funzioni del sistema nervoso centrale», sottolinea Biasucci. Si può trasmettere la Fenilchetonuria al bambino? «Questa è una paura frequente delle future madri con Fenilchetonuria, ma la trasmissione della malattia al figlio è possibile solo se anche il partner ne è un portatore sano. Può però esserci il 50% di possibilità che il bambino sia un portatore sano della malattia».

Quali le novità terapeutiche? «Per tenere sotto controllo l’accumulo tossico di fenilalanina, da alcuni anni è già presente un principio attivo, la sapropterina dicloridrato, utilizzabile in pazienti selezionati. La novità terapeutica, recentemente approvata anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco, è rappresentata dalla terapia enzimatica a base di pegvaliase, un enzima in grado di degradare la fenilalanina, impedendole di accumularsi nell’organismo. Questo farmaco viene somministrato per via sottocutanea, l’iniezione dovrà essere ripetuta per lungo tempo con dosaggio ‘calibrato’ per ogni singolo paziente. Inoltre i pazienti candidabili vanno accuratamente selezionati, potendo essere utilizzato solo in chi ha più di 16 anni con insufficiente controllo dei valori di fenilalanina plasmatica.», risponde Sabrina Paci, pediatra e dottore di ricerca presso l’U.O. Clinica Pediatrica, Neonatologia e Patologia Neonatale dell’ASST Santi Paolo e Carlo, Presidio San Paolo, Università degli Studi di Milano.

«La prima dieta per Fenilchetonuria è stata ideata negli anni ’50. Da allora sono stati creati numerosi prodotti sia per quanto riguarda gli alimenti dietetici che per le miscele aminoacidiche. Attualmente in Italia sono stati approvati vari alimenti dietetici aproteici e ipoproteici come pasta, pane, prodotti da forno e dolci, sostituti della carne, del formaggio, delle uova, che sono simili agli alimenti normali e possono essere ordinati in farmacia in esenzione. Sono disponibili in Italia molte miscele aminoacidiche, anch’esse in esenzione, con caratteristiche diverse a seconda dell’età del paziente. Le formulazioni variano da latti in polvere o liquidi, miscele pronte o da ricostituire, con o senza aromi aggiunti. Rappresentano una parte fondamentale della dieta e c’è una ricerca vivace per poter migliorare la loro palatabilità, spesso scarsa», dice Alice Dianin.

Il Covid ci ha fatto conoscere meglio la telemedicina e il suo utilizzo anche per seguire chi è affetto da PKU. Utilizzo ritenuto positivo per il 57% dei partecipanti al sondaggio realizzato durante il PKU&Noi. «Sì, la telemedicina ci ha permesso di entrare nelle case dei nostri pazienti, e di vederli al di fuori dai contesti ambulatoriali. Ci ha permesso di mantenere viva la possibilità di ascoltare i racconti dei nostri pazienti», osserva Andrea Bordugo, direttore dell’U.O.S. Malattie Metaboliche Ereditarie dell’AOUI di Verona, centro regionale per lo screening neonatale, la diagnosi e il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie e le malattie endocrinologiche congenite. Continueremo a usare questo strumento in futuro, come integrazione alle visite tradizionali? «Il Covid ha accelerato dei cambiamenti che erano solo timidamente presenti nel nostro quotidiano, facendoli esplodere, anche nella loro bellezza. Non torneremo più indietro, quindi sì, sarà uno strumento che continueremo a utilizzare perché ci permette di raggiungere realtà anche distanti da dove si trova il centro di cura, come piccoli paesini di montagna per esempio, di poter interagire con gli altri medici che contribuiscono alla presa in cura del bambino, di avere maggiori collegamenti con i pediatri, creando davvero una rete di competenze efficace. La telemedicina, però, non è solo messaggi, mail o videochiamate, è molto di più. Va conosciuta, utilizzata in modo empatico, non facendo più sentire la distanza di uno schermo come un limite, ma come un’ulteriore possibilità di prenderci cura dei nostri pazienti. Grazie a questo strumento, siamo riusciti a fare regolarmente i controlli di fenilalanina dando riscontri dopo pochissimi giorni, visibili sul fascicolo sanitario elettronico».

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