Sono circa 2 milioni i malati rari nel nostro Paese, secondo la rete Orphanet Italia, e ogni anno si contano 19mila nuove diagnosi. Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica, perché circa l’80% delle 7.000 – 8.000 malattie rare sono di origine genetica, ma non mancano quelle che si manifestano solo in età adulta e nella terza età. Per queste persone non c’è ancora una giusta attenzione, nonostante il nostro sia un Paese che invecchia. Si tratta di patologie eterogenee, la cui prevalenza nell’adulto è destinata ad aumentare – da bambini rari ad adulti rari – con problematiche assistenziali diverse a seconda dell’età che necessitano di essere affrontate globalmente e che richiedono una particolare e specifica tutela, per le difficoltà diagnostiche, la gravità clinica, il decorso cronico, gli esiti invalidanti e l’onerosità del trattamento. Senza dimenticare il ruolo chiave del caregiver, chi si prende cura dei malati rari in famiglia, con impatti sulla produttività e sui costi indiretti legati a queste malattie.
“La tempestività nella presa in carico (dalla diagnosi precoce all’assistenza, inclusa quella domiciliare), la forte connessione delle reti multidisciplinari e multiprofessionali, l’uso sempre più diffuso della tecnologia e lo sviluppo di nuovi modelli di ricerca e di accesso alle terapie sono gli elementi chiave per ripensare il modello di gestione delle malattie rare in età adulta” – introduce Daniela Bianco in apertura del Forum “Malattie rare nell’adulto. Quali prospettive nei percorsi di diagnosi e cura” organizzato da The European House-Ambrosetti, in collaborazione con Osservatorio Malattie Rare (OMaR) e realizzato con il contributo di Pfizer.
Tra le malattie rare dell’adulto anche le amiloidosi cardiache rilevano ritardo nella diagnosi, l’assenza di terapie risolutive, la mancanza di conoscenza nella classe medica non specializzata e la mancanza di percorsi multidisciplinari chiaramente codificati. Sono tra i problemi principali che vengono lamentati da pazienti e specialisti, esattamente come per tantissime altre malattie rare.
“Dopo i 50 o 60 anni in caso di sintomi come uno scompenso cardiaco è molto facile che ci si fermi a vagliare le cause più frequenti, perché c’è la convinzione diffusa che a una certa età queste cose possano succedere. Eppure, anche per gli adulti potrebbe trattarsi di una malattia rara, ad esempio l’amiloidosi cardiaca, ma ancora oggi la diagnosi avviene in ritardo, e non di rado quando è davvero troppo tardi” – dichiara Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio Malattie Rare.
Le amiloidosi sono un gruppo di malattie – ereditarie o acquisite – caratterizzate dall’accumulo di una sostanza proteica insolubile, nota appunto come amiloide. Attualmente si conoscono circa 30 tipologie di amiloidosi, e si stima che in Italia ci siano 356 casi, in 120 famiglie, di persone affette dalla forma ereditaria di questa patologia. L’accumulo di sostanza amiloide compromette nel tempo la funzionalità di vari organi vitali: cuore, reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici e occhi. Il cuore, in particolare, è l’organo bersaglio in cui l’amiloide si deposita più frequentemente, dando luogo a una grave forma di scompenso chiamato “amiloidosi cardiaca”.
Poiché la deposizione dell’amiloide è un processo progressivo la diagnosi precoce per questa patologia è fondamentale. “Già da anni si aveva la consapevolezza che i pazienti identificati in una fase avanzata della amiloidosi (con sintomi importanti già cronicizzati) avevano un decorso sfavorevole e rispondevano male alle terapie “tradizionali” antiscompenso e antiaritmiche” – evidenzia il prof. Claudio Rapezzi, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Ferrara. “Da quando si sono conclusi i primi studi clinici prospettici randomizzati con i nuovi farmaci specifici (stabilizzatori della Transtiretina o silenziatori del gene della transtiretina), sappiamo con precisione che tanto più avanzata è la fase di storia naturale della malattia tanto minore è la risposta al trattamento. Per quanto riguarda l’inizio delle terapie, the earlier the better”.
Le difficoltà vissute ogni giorno dai pazienti con amiloidosi sono senza dubbio fisiche, ma spesso anche psicologiche. “L’urgenza della diagnosi precoce è un tema fondamentale – aggiunge Andrea Vaccari, presidente fAMY, Associazione Italiana Amiloidosi Familiare – Per questo motivo riteniamo indispensabile un’adeguata formazione dei medici di medicina generale affinché possano effettuare un’attenta analisi della storia clinica familiare del paziente, che comunque necessita di essere seguito da un team multidisciplinare esperto, senza sottovalutare sintomi anche modesti, e velocizzare i processi di approvazione dei farmaci, perché per un paziente con amiloidosi il tempo è vita”.
Il percorso di condivisione delle criticità e proposte di miglioramento anche alla luce delle good practice presentate, si è snodato lungo tre differenti tavole rotonde moderate da Daniela Bianco, Partner e Responsabile dell’area Healthcare di The European House-Ambrosetti e da Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore di Osservatorio Malattie Rare.