Presso l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli il team di Andrea Ballabio ha descritto sulle pagine di Nature come il meccanismo responsabile di una rara malattia genetica offra una chiave per la comprensione di un meccanismo che porta alla formazione di cisti e tumori a carico di particolari organi, primo fra tutti il rene. Sostenuto da Fondazione Telethon, da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dalla Regione Campania, lo studio ha visto la partecipazione dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) e dell’Istituto di biologia cellulare dell’Università di Innsbruck.
Primi firmatari dell’articolo sono Gennaro Napolitano e Chiara Di Malta, due giovani ricercatori campani che dopo una lunga esperienza all’estero, rispettivamente in California e in Texas, sono rientrati in Italia per lavorare al Tigem dove, coordinati da Ballabio, si sono dedicati allo studio di TFEB, gene che codifica per una proteina capace di orchestrare in maniera fine la risposta cellulare a stimoli esterni. Il gene, portato alla ribalta per la prima volta proprio da Ballabio nel 2009 su Science, ha anche valso al direttore del Tigem il prestigioso premio Louis-Jeantet nel 2016. «TFEB è un fattore di trascrizione, ovvero è una proteina che coordina l’espressione e quindi l’attività di altri geni – spiega Napolitano. In risposta a stimoli ambientali, come ad esempio l’assenza o la presenza di nutrienti, TFEB viene attivato e accende specifici geni in grado di rispondere allo stimolo, o viceversa viene inibito e in questo modo i suoi geni bersaglio rimangono spenti. Da diversi anni siamo impegnati nel comprendere le attività cellulari regolate da questo gene, dallo smaltimento delle sostanze di scarto alla risposta alla disponibilità di nutrienti. Negli ultimi anni ci siamo concentrati su mTOR, una proteina che blocca l’azione di TFEB quando i nutrienti sono disponibili, quando cioè la cellula può acquisire l’energia dall’esterno. Al contrario, TFEB si attiva quando i nutrienti scarseggiano e bisogna utilizzare le riserve interne».
A contribuire al blocco di TFEB è anche un’altra proteina, la folliculina, che è risultata essere difettosa in una rara sindrome genetica, quella di Birt-Hogg-Dubé (BHD), che deve il suo nome ai tre medici canadesi che l’hanno scoperta nel 1977. Finora sono oltre 100 le famiglie nel mondo in cui la sindrome è stata descritta e la caratteristica che accomuna questi pazienti è la tendenza a formare cisti nei reni e nei polmoni, nonché particolari lesioni cutanee. Le cisti renali spesso degenerano fino a formare veri e propri carcinomi maligni. «Ci siamo quindi chiesti – racconta Di Malta – se TFEB avesse un ruolo nella manifestazione clinica della malattia e, di conseguenza, se intervenire sulla sua attività potesse avere un effetto terapeutico. Gli esperimenti condotti in animali di laboratorio hanno confermato la nostra ipotesi: quando il gene della folliculina è stato inattivato, nelle cellule renali abbiamo effettivamente riscontrato la formazione di numerose cisti, proprio come nei pazienti affetti da BHD a causa del loro difetto genetico. Quando successivamente, sempre in animali di laboratorio, abbiamo inattivato anche TFEB, abbiamo assistito a una completa guarigione, con la scomparsa totale delle cisti».
In altre parole, quello che per le cellule normali è un meccanismo fisiologico di adattamento alla disponibilità di nutrienti, può trasformarsi in un vantaggio pericoloso quando le cellule si riproducono in modo eccessivo e hanno quindi bisogno di tanta energia: bloccare l’attività di TFEB potrebbe quindi rivelarsi una strategia vincente nel caso di diversi tumori – del rene, del pancreas, o della pelle come il melanoma – ma anche di malattie genetiche caratterizzate dalla tendenza di alcuni tessuti a proliferare troppo, come per esempio il rene policistico o la sclerosi tuberosa.
«Il prossimo passo – conclude Ballabio – sarà innanzitutto confermare quanto abbiamo osservato a livello del rene anche negli altri tessuti colpiti nella sindrome BHD, come per esempio la pelle e i polmoni, ma anche in altre patologie, genetiche e tumorali. Parallelamente andremo alla ricerca di molecole in grado di inibire in modo selettivo e modulabile l’attività di TFEB, anche grazie alle competenze maturate negli anni dal nostro istituto nello screening su larga scala di potenziali farmaci diretti contro uno specifico bersaglio, che attualmente stiamo mettendo anche a disposizione dell’emergenza Covid-19. Questa ricerca dimostra ancora una volta quanto lo studio delle malattie genetiche rare abbia ricadute ampie: la rarità è strettamente legata al fatto che dipendono da meccanismi biologici fondamentali e questo le rende dei modelli unici e formidabili per studiare i meccanismi della vita. Studiarle è quindi importante non solo per giovare a chi ne è direttamente colpito, ma per la collettività intera».