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COLANGIOCARCINOMA INTRAEPATICO

Tumore delle vie biliari, combinazione atezolizumab-cobimetinib ritarda la progressione

Portrait of young male doctors looking at x-ray

Secondo uno studio di fase 2 presentato al meeting annuale (virtuale) dell’American Association for Cancer Research (AACR), la combinazione di atezolizumab e cobimetinib aumenta la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nei pazienti con tumore delle vie biliari in fase avanzata.

Si tratta, sottolineano i ricercatori, del primo studio randomizzato di immunoterapia, in una popolazione affetta da una patologia non comune.

I tumori delle vie biliari rappresentano un gruppo di neoplasie eterogeneo, sia dal punto di vista genomico che anatomico, spesso classificate come tumore intra-epatico, extra-epatico e della cistifellea. Questo tipo di tumori rappresenta il 3% di tutte le neoplasie gastrointestinali, con incidenza in aumento, probabilmente collegata all’aumento dell’obesità in molte parti del mondo.

Da studi preclinici risulta che i MEK-inibitori possono avere un effetto immunomodulatorio, agendo sia sulle cellule tumorali sia su quelle immunitarie.

Lo studio ha confrontato efficacia e sicurezza della combinazione dell’inibitore di PD-L1 atezolizumab e del MEK-inibitore cobimetinib con atezolizumab in monoterapia. Sono stati reclutati 77 pazienti, con un’età mediana di 63 anni, sottoposti in precedenza a due linee di trattamento per la malattia metastatica.

La maggior parte dei partecipanti (43) presentava un colangiocarcinoma intra-epatico, 15 un tumore extra-epatico e 19 un tumore della cistifellea. Tutti i pazienti erano in buone condizioni generali, con performance status ECOG pari a 0 e 1.

I partecipanti sono stati assegnati causalmente, secondo un rapporto 1:1, a un trattamento con atezolizumab (840 mg ev ogni 2 settimane) oppure con atezolizumab (840 mg ev ogni 2 settimane) in associazione a cobimetinib (60 mg per via orale, giornalmente, per un ciclo di 21 giorni seguito da 7 giorni di interruzione).

L’endpoint principale dello studio era la PFS, mentre gli endpoint secondari comprendevano il tasso di risposta obiettiva, la sicurezza, la tollerabilità e la sopravvivenza globale (OS).

I risultati mostrano una differenza significativa nella mediana di PFS: 111 giorni nel gruppo trattato con la combinazione e 57 giorni nel gruppo trattato con la monoterapia.

Un’analisi post hoc non pianificata ha inoltre evidenziato che il gruppo di pazienti che ha contribuito maggiormente al beneficio di sopravvivenza osservato è stato quello più numeroso, ossia quello con colangiocarcinoma intra-epatico.

Tra i pazienti trattati con la combinazione, uno ha ottenuto una risposta parziale, 23 una stabilizzazione della malattia e 17 una progressione della malattia.

Due dei pazienti del gruppo trattato con la combinazione sono restati in trattamento per oltre 15 mesi. In ciascuno dei due gruppi un paziente presentava un deficit del meccanismo riparazione dei mismatch, tra cui uno è andato incontro a progressione della malattia e un altro ha abbandonato lo studio prima della valutazione della risposta.

La tossicità è stata definita «gestibile»: gli eventi avversi di grado 3 e 4 legati al trattamento sono risultati simili tra i due gruppi e non sono stati riportati decessi legati al trattamento. Tuttavia, la comparsa di eventi avversi durante la terapia è stata causa di abbandono dello studio da parte di quattro pazienti appartenenti al gruppo trattato con monoterapia, e di otto pazienti del gruppo trattato con la terapia di combinazione.

«Si tratta di risultati preliminari: i dati sulla OS erano prematuri al momento dell’interruzione dello studio, e saranno presentati più avanti» ha affermato Mark Yarchoan, professore di oncologia presso il Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center della Johns Hopkins University di Baltimora.

«Sebbene lo studio possa definirsi positivo, i bassi tassi di risposta osservati per entrambi i gruppi di trattamento evidenziano le difficoltà insite nello sviluppare un’immunoterapia per il tumore delle vie biliari; sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere l’impatto della inibizione di MEK sul microambiente immunologico del tumore nei casi di colangiocarcinoma» ha concluso Yarchoan.

Negli ultimi 10 anni, la terapia standard per i tumori del tratto biliare è stata rappresentata da un regime chemioterapico a base di cisplatino e gemcitabina, senza una terapia standard di seconda linea; anche gli inibitori di PD-L1 hanno dato risultati insoddisfacenti. «Tuttavia, è giunta l’era della terapia targeted anche per i tumori del tratto biliare, della quale esistono diverse opportunità» ha commentato Zev A. Wainberg, della University of California Los Angeles (UCLA).

Di recente, ha osservato il professore, l’approvazione di pemigatinib ha aperto la strada a una serie di terapie targeted che saranno approvate nel corso dei prossimi anni per il trattamento di queste neoplasie.

«L’apprezzabile e lodevole risultato di questo studio, che evidenzia un raddoppio della PFS, lascia comunque molte questioni aperte, riguardanti la stratificazione per tipo di malattia, che obbliga a una cauta interpretazione dei dati e a una cauta considerazione degli eventi avversi; è necessario inoltre studiare il modo per minimizzarli» ha sottolineato l’esperto.

Infine, ha concluso Wainberg, non è certo, se questo studio possa preludere a uno studio randomizzato di fase 3; senza un marcatore selettivo della popolazione potrebbe essere difficile arrivare a considerazioni in merito all’efficacia. Inoltre un eventuale studio di fase 3 randomizzato, nei pazienti in trattamento di seconda linea, dovrebbe prevedere l’impiego del 5-fluorouracile come agente singolo.

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